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Come preparare un Discorso da Oscar

Sì lo ammetto, sono stata folgorata dalla Grande Bellezza.

Ciononostante rassicuratevi: in questo post non intendo certo parlare del film; voglio invece trarre spunti di riflessione dall’asciutto ringraziamento che Sorrentino ha pronunciato alla consegna degli Oscar.

Il suo, è stato un discorso diretto all’essenza: essenza pura.

I molti “grazie”, doverosi, sono partiti in primis per l’Academy, per poi procedere all’indietro verso i produttori e gli attori, le sue fonti d’ispirazione (ha citato Federico Fellini, Talking Heads, Martin Scorsese e Diego Armando Maradona), Roma, Napoli, la sua “personale Grande Bellezza”(moglie e figli), fratelli e sorelle e, infine, i suoi genitori. Una sorta di indietro tutta all’origine. Dalle foglie alle radici. E Sorrentino stesso nel film fa dichiarare dal personaggio della Santa che: “le radici sono importanti”!

Cosa c’è d’interessante in questo discorso da OSCAR, a fini professionali?

Nella sua semplicità densa, o densità semplice, – come preferite – ci fornisce un modello per allenarci ai cosiddetti “elevator pitches”, anche detti “discorsi da ascensore”, ovvero quelli con cui ci si presenta per motivi professionali ad un’altra persona od organizzazione, con lo scopo di lasciare il segno in pochi minuti (immaginiamo appunto il tempo di salire con l’ascensore). A cosa possono servirci?

A trovare lavoro, convincere della bontà di un progetto, fare colpo su qualcuno a livello professionale o personale, celebrare nel debito modo un proprio successo, come nel caso di Sorrentino.

Vediamo meglio la tecnica usata.

Sorrentino ha esordito con “Ok”, come a dire: “siamo qui – in situazione”, ma anche “negli USA” (fotografia attuale). Poi, senza alcuna retorica, e a tutta birra, è partito all’indietro. Da ottimo regista qual è, ci ha acciuffati velocemente e guidati – di nuovo – dentro una storia.

La storia della sua storia. La storia che racconta la sua professionalità e il conseguente prodotto, premiato con l’Oscar. Nessun orpello o giustificazione: solo uno storytelling potente, asciutto, e traboccante di consapevolezza. Tale impostazione, oltre ad essere perfetta per una presentazione, è molto utile anche per un colloquio di lavoro e nella scrittura di un curriculum vitae.

Sì, perché anche un Curriculum deve “raccontarci” partendo dalla fotografia attuale e andando indietro secondo una cronologia inversa. Inoltre, la cristallina lezione di Sorrentino, ci insegna anche quanto sia importante focalizzare pochi – ma importanti – aspetti che danno senso alla nostra storia e, più di tanto altro, la raccontano.

Se si ha poco tempo a disposizione e occorre colpire il bersaglio, è fondamentale puntare sugli aspetti essenziali. Ma per fare ciò, occorre consapevolezza. Ed è questo il punto dolente. Spesso, siamo noi stesse le prime a non essere consce dei nostri punti di forza, di cosa ci contraddistingue, e non sappiamo dare loro il giusto peso.

L’errore n. 1 è credere che parlare delle proprie passioni ed interessi non sia “inerente” o importante. Di conseguenza, la strategia adottata, e che riflette questa convinzione, ci porta a muoverci a caso, sparando nel mucchio, nel più generico ed inefficace modo possibile, anziché ricercare opportunità in linea con chi siamo, cosa ci piace, ci riesce bene, ci scalda il cuore e fa luccicare gli occhi.

Andare alla radice, all’essenza, vuol dire invece: partire dal sé, perdere un po’ di tempo con noi stesse. Imparare a conoscerci. E poi, e solo allora, iniziare a ricamarci intorno. Creare…il lavoro.

È fondamentale ripensare a cosa ci piace, ci ha ispirato – spesso negli anni giovanili. Sì perché è in quegli anni che scegliamo molte attività senza porci troppe domande, per il puro piacere o interesse a sperimentare in forma libera, o semplicemente perché, anche se nessuno ce lo ha mai insegnato, di fatto sentiamo di poterci provare. Alla gran parte di quelle capacità continueremo ad attingere, spesso senza accorgercene, lungo tutto l’arco di vita professionale. Si tratta di personali, specifiche, autentiche modalità di sentire e agire, che gli altri notano e ci riconoscono, nonostante noi tendiamo a dare per scontate o a tenere soffocate come dentro uno scrigno segreto di cui vergognarci.

Le persone, o le esperienze che ci hanno più influenzato, possono arrivare inaspettatamente e, come Maradona per Sorrentino, non sempre appartenere al nostro stesso ambito professionale. Da quella modalità di giocarsi artisticamente la partita, che Maradona aveva, Sorrentino ha appreso un modello, un’abilità, un movimento che poi quantomeno lo hanno ispirato nella sua professione.

Per la ricerca del lavoro è interessante seguire l’indicazione di Sorrentino quando spiega come occorre essere rispetto al cinema: “realisti, ricorrendo al massimo grado di invenzione possibile”.

Realisti. Badate bene, non pessimisti. Essere realisti vuol dire osservare lucidamente la realtà. E per farlo occorre mappare, osservare, prendere informazioni, chiedere, essere curiosi (anche verso se stessi). Non vuol dire procedere a caso, senza strategia, senza un’idea di quante e quali siano le aziende potenzialmente interessanti per il proprio profilo. Non vuol dire indirizzarsi alle sempre troppo poche realtà aziendali di cui si è a conoscenza, quando intorno ce ne sarebbero molte di più. Non vuol dire basarsi solo sul passaparola, su quanto si sente dire dai media, su quanto pubblicato in rete. Di attività giuste per noi ce ne sono più di quanto immaginiamo, ma per scoprirle dobbiamo ampliare realisticamente la mappatura del mercato e conoscerci.

Ricorrere all’invenzione. Sì perché è vero quando si sente dire che il lavoro bisogna crearlo. E perché non dovrebbe essere così? Sono io che lavoro, sono io che mi esprimo attraverso il lavoro, si tratta della mia vita. E quindi come potrebbe non trattarsi di un processo (sia nella ricerca che nella pratica) creativo e responsabile? Ci metto comunque del mio, anche se non me ne rendo conto. Non è cercando UN lavoro – uno qualsiasi – che si possono avere maggiori chance. È esattamente al contrario che vanno le cose. La Grande Bellezza non è piaciuto a tutti. Forse ha spaccato l’Italia proprio a metà. Ma di certo non è passato inosservato. Primo ottimo risultato.

È un’opera d’arte. È il frutto di un processo creativo. C’è un mondo dentro o tanti mondi. Di certo c’è quello di Sorrentino e anche qualcosa di chi ne ha ispirato la personalissima visione.

Partiamo dunque dalla nostra “grande bellezza”, la nostra unicità ed essenza! Tempo mai perso. Tempo sempre ottimamente investito.

E se anche voi doveste in pochi minuti citare le vostre fonti di ispirazione od ossessioni giovanili da trasportare oggi nel vostro lavoro o nella ricerca del lavoro, sapreste indicarle?

(Potete immaginare qualsiasi cosa, Sorrentino insegna )

Serenella Panaro